Gaetano Bresci

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« Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. Concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia in seguito agli stati d’assedio emanati per decreto reale. E dopo avvenute le altre repressioni del ‘98 ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d’assedio emanati con decreto reale. »
(Gaetano Bresci subito dopo l'arresto[1])
Gaetano Bresci

Gaetano Bresci (Prato, 10 novembre 1869Isola di Santo Stefano, 22 maggio 1901) è stato un anarchico italiano, autore dell'uccisione a Monza del re Umberto I, che era scampato anni prima ad attentati eseguiti da altri anarchici come Giovanni Passannante e Pietro Acciarito.

Indice

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Biografia [modifica]

Prima del regicidio [modifica]

Bava Beccaris, il generale che represse l'insurrezione milanese del 1898
il re Umberto I
L'attentato in una raffigurazione dell'epoca

Gaetano Bresci nacque il 10 novembre 1869 a Coiano, frazione di Prato, dai contadini Gaspare Bresci e Maddalena Godi (morti rispettivamente nel 1895 e nel 1889). La sua famiglia era semplice ma non in misere condizioni: nel 1900 suo fratello Angiolo era tenente del Regio Esercito presso il corpo degli artiglieri di Caserta[2], mentre una sorella aveva sposato un affermato ebanista di Castel San Pietro Terme[3]. Iniziò a lavorare in età adolescenziale in un'azienda di filatura e prese contatti con il mondo politico. All'età di 15 anni entrò a far parte di un circolo anarchico di Prato. Nel 1892 fu condannato a 15 giorni di carcere per oltraggio e rifiuto di obbedienza alla forza pubblica, fu schedato come «anarchico pericoloso» e relegato nel 1895 (ai sensi delle leggi speciali di Crispi) a Lampedusa. Ricevuta l'amnistia sul finire del 1896, Bresci emigrò negli Stati Uniti, stabilendosi a Paterson (New Jersey), dove trovò lavoro nell'industria tessile e frequentò la comunità anarchica di emigrati italiani.

Durante la sua permanenza in America, Bresci venne a conoscenza di una notizia che lo sconvolse. Nel 1898 a Milano, a seguito dell'aumento del prezzo della farina e del pane, il cui costo cresceva da anni, il popolo insorse ed assaltò i forni del pane. In quell'anno, a circa quarant'anni dall'annessione della Lombardia al Regno d'Italia dopo la Seconda guerra d'indipendenza, la situazione economica era grave, tanto che in quegli stessi quarant'anni emigrarono circa 519.000 lombardi.[4]

L'insurrezione milanese, passata alla storia come la "protesta dello stomaco", durò vari giorni e fu repressa nel sangue da reparti dell'esercito comandati dal generale Fiorenzo Bava-Beccaris che, per questa azione di ordine pubblico, fu insignito con la Croce di grand'ufficiale dell'ordine militare di Savoia «per rimeritare il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà» da Umberto I re d'Italia. Nella repressione militare si calcola che vi furono più di cento persone uccise (i dati non sono precisi) e centinaia di feriti. Tra le vittime, i miserabili che si trovavano in fila per ricevere la minestra dei frati, sui quali si sparò a mitraglia.

Gaetano Bresci intese vendicare l'eccidio e rendere giustizia, perciò decise di ritornare in Italia con l'obiettivo di uccidere re Umberto, ritenendolo responsabile massimo di quei tragici avvenimenti.[5] Una volta giunto in Italia, prese in affitto una camera a Milano in via San Pietro all'Orto n.4[2] e riuscì a spiare per giorni i movimenti e le abitudini del sovrano, che si trovava dal 21 luglio in villeggiatura estiva nella poco distante Villa Reale di Monza[6].

Il regicidio [modifica]

La sera di domenica 29 luglio 1900, a Monza, Bresci uccise il re d'Italia Umberto I di Savoia sparandogli contro tre o quattro (le fonti storiche non concordano) colpi di rivoltella. Il sovrano stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese dopo aver assistito a un saggio ginnico cui seguì una premiazione presso la società sportiva "Forti e Liberi". Il regicidio, immortalato in una celebre tavola del pittore Achille Beltrame per La Domenica del Corriere, avvenne sotto gli occhi della popolazione festante che salutava il monarca. Bresci si lasciò catturare dal maresciallo dei carabinieri Andrea Braggio senza opporre resistenza e fu lo stesso carabiniere a salvarlo, proteggendolo dal linciaggio a cui stava per essere sottoposto dalla folla inferocita.

Bresci durante il processo.

Bresci, difeso dall'avvocato Francesco Saverio Merlino dopo il rifiuto di Filippo Turati, fu processato per regicidio e condannato all'ergastolo. Ricordiamo che la pena di morte era invece stata comminata a Giovanni Passannante, ventidue anni prima (1878), anche se il suo attentato contro il sovrano era fallito, ed era stata commutata in ergastolo per la grazia concessa dal re Umberto: ma la pena di morte era stata abolita dal Codice Zanardelli del 1889 per ogni tipo di reato. Alle ore 12 del 23 gennaio del 1901, dopo un trasferimento via mare sulla nave da guerra Messaggero, Bresci fu rinchiuso nel suo ultimo domicilio. Per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili, nel penitenziario di Santo Stefano, presso Ventotene (Isole Ponziane). Il suo numero di matricola era il 515.

Indossava la divisa degli ergastolani, con le mostrine nere che indicavano i colpevoli dei delitti più gravi. I piedi erano avvinti in catene. Ogni giorno riceveva il vitto di spettanza: una gamella di zuppa magra e una pagnotta. Aveva facoltà di acquistare generi alimentari allo spaccio, ma si avvalse raramente di questa concessione. Delle sessanta lire depositate presso l'amministrazione dell'ergastolo (e spedite dall'America dalla moglie) riuscì a spenderne meno di dieci. Il comportamento del detenuto fu giudicato tranquillo, normale. Bresci ricevette la visita del cappellano del carcere, don Antonio Fasulo, ma rinunziò al conforto della conversazione. Si fece dare una Bibbia, che leggeva ogni tanto, e poi, tra gli scarsi volumi della biblioteca carceraria, scelse un vocabolario italiano-francese. Lo troverà aperto, nel pomeriggio del 22 maggio 1901, il direttore del carcere venuto a constatare la sua morte.

La morte [modifica]

Il 22 maggio 1901, l'ufficio matricola della Regia Casa di Pena di Santo Stefano registrò la morte del detenuto Gaetano Bresci fu Gaspero, condannato all'ergastolo per l'uccisione a Monza del re d'Italia. Alle ore 14.55 il secondino Barbieri, che aveva l'incarico di sorvegliare a vista l'ergastolano, ma che si era allontanato per alcuni minuti, scoprì il corpo del Bresci, ormai cadavere, penzolare dall'inferriata alla quale il recluso si era appeso per il collo mediante l'asciugamano in dotazione o, secondo altri, un lenzuolo. Accorsero sia il direttore del carcere cavalier Cecinelli sia il medico, ma soltanto per constatare l'avvenuto decesso.

Tuttavia le circostanze della sua morte destarono subito qualche perplessità. Voci sotterranee, fatte circolare da cella a cella e presto uscite dal penitenziario, avvalorano un'ipotesi alternativa.
Tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, avrebbero immobilizzato il Bresci buttandogli addosso una coperta e poi lo avrebbero massacrato a pugni. Nel gergo carcerario questo trattamento è chiamato "fare il Sant'Antonio o santantonio": serve a dare una lezione ai riottosi, ma qualche volta questa lezione è mortale. Un "delitto contro lo Stato" sarebbe stato dunque punito con un "delitto di Stato". Qualche incertezza vi è anche sul luogo della sua sepoltura: secondo alcune fonti fu seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di Santo Stefano[7]; secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare. Le sole cose rimaste di lui sono il suo cappello da ergastolano (andato distrutto durante una rivolta di carcerati nel dopoguerra) e la rivoltella con cui compì il regicidio.

Ci sono poi alcuni misteri che circondano ancora la figura dell'"anarchico venuto dall'America", come la fantasia popolare lo aveva ribattezzato. Riguardano prevalentemente alcuni documenti spariti misteriosamente: non è infatti mai stata trovata la pagina 515 che descriveva il suo "status" di ergastolano e le circostanze della sua morte; nessuna informazione su di lui è disponibile all'Archivio di Stato di Roma; non è mai stato ritrovato – come testimonia un'approfondita biografia di Arrigo Petacco – il dossier che Giovanni Giolitti scrisse sulla vicenda Bresci.

Qualche anno dopo la morte del regicida, Ezio Riboldi, primo sindaco socialista di Monza, fece visitare la cappella espiatoria al giovane esponente della sinistra rivoluzionaria Benito Mussolini, il quale con un sasso appuntito incise la scritta: «Monumento a Bresci».[8]

Reazioni [modifica]

Come era già accaduto ai suoi predecessori Passannante e Acciarito, tutti gli amici più stretti e i parenti di Bresci vennero arrestati nel tentativo di dimostrare che il regicida non aveva agito individualmente, ma aveva preso parte a un vastissimo complotto anarchico internazionale. Anche la polizia di Paterson fu mobilitata per dimostrare l'esistenza di tale complotto, ma non trovò assolutamente alcuna prova.

Il quotidiano socialista l'Avanti, divenuto capro espiatorio benché non fosse affatto vicino agli anarchici, subì un'aggressione da parte dei conservatori, in seguito alla quale furono arrestati alcuni lavoratori del giornale invece degli aggressori. Molti anarchici in tutta Italia furono arrestati, colpevoli di apologia di regicidio.

Tra coloro che celebrarono il regicidio vi furono: un prete ed un farmacista savonese che vennero immediatamente arrestati per questo. A Bresci, infatti, erano stati dedicati feste e brindisi, tanto in Italia quanto a Paterson.

Curiosità [modifica]

  • Nella città di Carrara è stato dedicato a Bresci un monumento, nell'area antistante il cimitero in Loc. Turigliano,[9] in marmo di Carrara, opera dello scultore milanese Carlo Sergio Signori.[10]
  • La città di Prato ha dedicato, nel 1976, una strada al concittadino anarchico. Si trova vicino a piazza del Mercato Nuovo.
  • Bresci era solito portare sempre con sé una macchina fotografica (a dire il vero anche abbastanza costosa), una moda dei giovani americani del tempo. La macchina fotografica lo accompagnò anche il giorno in cui uccise Umberto I.
  • Prima del regicidio, fu solito allenarsi presso il Tiro a Segno Nazionale di Galceti (Prato) dove poneva distesi al suolo dei fiaschi per il vino, allenandosi a colpire e sfondarne il fondo facendo passare il proiettile per il collo della bottiglia.
  • Bresci si distingueva dall'"immigrato italiano medio" in quanto parlava correttamente l'inglese, aveva appunto una macchina fotografica (un piccolo lusso per l'epoca) e interagiva molto con la comunità americana, al contrario di molti immigrati italiani (soprattutto i primi che arrivarono negli Stati Uniti) che, per motivi diversi, spesso si auto-ghettizzavano nelle Little Italy.
  • Bresci fu anche un "donnaiolo", molto spigliato con le ragazze, aiutato in questo anche da una discreta cultura.
  • Bresci ebbe una figlia chiamata Gaetanina (fu lei, anarchica convinta, dopo la morte del padre a continuare le lotte per una vita migliore degli operai, che il padre aveva sostenuto anni prima).
  • Ascanio Celestini gli ha dedicato una canzone (trasmessa nel programma Parla con me di Serena Dandini l'8 febbraio 2007):[11] vi si parla di un assassino che entra «come un ladro nella casa del ladro» - cioè del padrone – per ucciderlo. Questo pezzo musicale è stato riproposto durante il Concerto del Primo Maggio in piazza San Giovanni Laterano a Roma.
  • Bresci è citato in una canzone degli Assalti Frontali intitolata "Banditi nella sala".
  • Bresci viene citato nella canzone dei Gang "Bandito senza tempo", contenuta nell'album Le radici e le ali.
  • Umberto Eco nello scritto intitolato "Elogio a Franti" (articolo raccolto nel Diario Minimo del medesimo) suggerisce ironicamente che il detto personaggio, tratto dal libro Cuore di Edmondo de Amicis in cui riveste il ruolo di birbante e cinico (che Eco rilegge come emblema di opposizione sociale) tanto da ridere riguardo l'anniversario dei funerali del re Vittorio Emanuele II, abbia, divenuto adulto, assunto il nome d'arte di Gaetano Bresci.

Note [modifica]

  1. ^ Gaetano Bresci, tessitore, anarchico e uccisore di re di Massimo Ortalli
  2. ^ a b quotidiano la Stampa del 31/07/1900, p.1
  3. ^ S.Lapi, Rassegna storica del Risorgimento: organo della Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano, vol.55. 1968, p.54
  4. ^ CSER (Centro Studi sull'Emigrazione, di Roma).
  5. ^ Arrigo Petacco, L'anarchico che venne dall'America, Mondadori, Milano, 1974, p.91.
  6. ^ Gianni Oliva, I Savoia, Mondadori, p.433
  7. ^ Si veda la testimonianza di Luigi Veronelli: http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/308/22.htm
  8. ^ Indro Montanelli, Ritratti, Milano, Rizzoli, 1988, p. 296. ISBN 88-17-42803-5.
  9. ^ Immagine e articolo su la Repubblica del 4 maggio 1990.
  10. ^ Luciano Caramel e Massimo Bertozzi (a cura di), Carlo Sergio Signori 1906-1988. Sculture dipinti disegni, catalogo della mostra tenuta a Massa nel 1997, Bologna, Grafis, 1997. ISBN 88-8081-081-2.
  11. ^ Parlaconme

Bibliografia [modifica]

  • Francesco Saverio Merlino, La difesa di Gaetano Bresci alla Corte d'assise di Milano, Bologna, Casa Editrice La Controcorrente, 1912.
  • Ugoberto Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Milano, Feltrinelli, 1970.
  • Cesare Gildo Silipo, Un re: Umberto I, un generale: Bava Beccaris Fiorenzo, un anarchico: Gaetano Bresci, Milano, Il centro della copia, 1998.
  • Giuseppe Galzerano, Gaetano Bresci: vita, attentato, processo, carcere e morte dell'anarchico che giustiziò Umberto I, Casalvelino Scalo, Galzerano, 2001.
  • Arrigo Petacco, L'anarchico che venne dall'America. Storia di Gaetano Bresci e del complotto per uccidere Umberto I, Milano, Oscar Mondadori, 2001. ISBN 88-04-49087-X.
  • Fabio Santin e Marco Riccomini, Gaetano Bresci: un tessitore anarchico, Montespertoli, MIR Edizioni, 2006. ISBN 88-88282-88-2.
  • Massimo Ortalli, Gaetano Bresci Tessitore, Anarchico e Uccisore Di Re, Nova Delphi Libri, Roma Maggio 2011.

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