Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione

LINEE GUIDA
PER L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA
DEGLI ALUNNI CON DISABILITA’


Indice

Premessa

I PARTE: IL NUOVO SCENARIO. IL CONTESTO COME RISORSA

1. I principi costituzionali e la legislazione italiana in materia di alunni con disabilità
1.1 Art. 3 ed Art. 34 Costituzione
1.2 Legge 118/71 e Legge 517/77
1.3 Legge 104/92
1.4 DPR 24 febbraio 1994
2. Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità
3. La Classificazione Internazionale del Funzionamento dell’OMS
II PARTE: L’ORGANIZZAZIONE

1. Il ruolo degli Uffici Scolastici Regionali
2. Rapporti interistituzionali
III PARTE: LA DIMENSIONE INCLUSIVA DELLA SCUOLA

1. Il ruolo del dirigente scolastico
1.1 Leadership educativa e cultura dell’integrazione
1.2 Programmazione
1.3 Flessibilità
1.4 Il progetto di vita
1.5 La costituzione di reti di scuole
2. La corresponsabilità educativa e formativa dei docenti
2.1 Il clima della classe
2.2 Le strategia didattiche e gli strumenti
2.3 L’apprendimento-insegnamento
2.4 La valutazione
2.5 Il docente assegnato alle attività di sostegno
3. Il personale ATA e l’assistenza di base
4. La collaborazione con le famiglie
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Premessa

Le presenti Linee Guida raccolgono una serie di direttive che hanno lo scopo, nel
rispetto dell’autonomia scolastica e della legislazione vigente, di migliorare il processo
di integrazione degli alunni con disabilità. Elaborate sulla base di un confronto fra
dirigenti ed esperti del MIUR nonché con la partecipazione delle Associazioni delle
persone con disabilità, esse mirano a rilanciare il tema in questione, punto fermo della
tradizione pedagogica della scuola italiana, e che tale deve essere anche in momenti di
passaggio e trasformazione del sistema di istruzione e formazione nazionale.
Individuano inoltre una serie di criticità emerse in questi ultimi anni nella pratica
quotidiana del fare scuola e propongono possibili soluzioni per orientare l’azione degli
Uffici Scolastici Regionali, dei Dirigenti Scolastici e degli Organi collegiali,
nell’ambito delle proprie competenze.

L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità è un processo irreversibile, e
proprio per questo non può adagiarsi su pratiche disimpegnate che svuotano il senso
pedagogico, culturale e sociale dell’integrazione trasformandola da un processo di
crescita per gli alunni con disabilità e per i loro compagni a una procedura solamente
attenta alla correttezza formale degli adempimenti burocratici. Dietro alla “coraggiosa”
scelta della scuola italiana di aprire le classi normali affinché diventassero
effettivamente e per tutti “comuni”, c’è una concezione alta tanto dell’istruzione quanto
della persona umana, che trova nell’educazione il momento prioritario del proprio
sviluppo e della propria maturazione. Crescere è tuttavia un avvenimento individuale
che affonda le sue radici nei rapporti con gli altri e non si può parlare di sviluppo del
potenziale umano o di centralità della persona considerandola avulsa da un sistema di
relazioni la cui qualità e la cui ricchezza è il patrimonio fondamentale della crescita di
ognuno. La scuola è una comunità educante, che accoglie ogni alunno nello sforzo
quotidiano di costruire condizioni relazionali e situazioni pedagogiche tali da
consentirne il massimo sviluppo. Una scuola non solo per sapere dunque ma anche per
crescere, attraverso l’acquisizione di conoscenze, competenze, abilità, autonomia, nei
margini delle capacità individuali, mediante interventi specifici da attuare sullo sfondo
costante e imprescindibile dell’istruzione e della socializzazione.

In questo senso si configura la norma costituzionale del diritto allo studio,
interpretata alla luce della legge 59/1997 e del DPR 275/1999, da intendersi quindi
come tutela soggettiva affinché le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia
funzionale e flessibilità organizzativa, predispongano le condizioni e realizzino le
attività utili al raggiungimento del successo formativo di tutti gli alunni.

La prima parte delle Linee Guida consta in una panoramica sui principi generali,
individuabili tanto nell’ordinamento italiano quanto in quello internazionale,
concernenti l’integrazione scolastica. Ciò non per ripetere conoscenze già note a chi
lavora nel mondo della scuola, ma per ricapitolare un percorso davvero eccezionale di
legislazione scolastica, proprio quando la Convenzione ONU per i diritti delle persone
con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 18/2009, impegna tutti gli
Stati firmatari a prevedere forme di integrazione scolastica nelle classi comuni, che è,
appunto, la specificità italiana.

La prima parte presenta inoltre l’orientamento attuale nella concezione di
disabilità, concezione raccolta in particolare dalla detta Convenzione. Si è andato infatti
affermando il “modello sociale della disabilità”, secondo cui la disabilità è dovuta
dall’interazione fra il deficit di funzionamento della persona e il contesto sociale.

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Quest’ultimo assume dunque, in questa prospettiva, carattere determinante per definire
il grado della Qualità della Vita delle persone con disabilità.

In linea con questi principi si trova l’ICF, l’International Classification of
Functioning, che si propone come un modello di classificazione bio-psico-sociale
decisamente attento all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il
contesto sociale, culturale e personale in cui essa vive.

La seconda parte entra nelle pratiche scolastiche, individuando problematiche e
proposte di intervento concernenti vari aspetti e soggetti istituzionali coinvolti nel
processo di integrazione. In particolare, si riconosce la responsabilità educativa di tutto
il personale della scuola e si ribadisce la necessità della corretta e puntuale
progettazione individualizzata per l’alunno con disabilità, in accordo con gli Enti
Locali, l’ASL e le famiglie.

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I PARTE
IL NUOVO SCENARIO. IL CONTESTO COME RISORSA


1. I principi costituzionali e la legislazione italiana in materia di alunni con disabilità
1.1. Art. 3 ed Art. 34 Costituzione
Il diritto allo studio è un principio garantito costituzionalmente. L’art. 34 Cost.
dispone infatti che la scuola sia aperta a tutti. In tal senso il Costituente ha voluto
coniugare il diritto allo studio con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
L’articolo in questione, al primo comma, recita: «tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono uguali dinanzi alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Tale principio di eguaglianza, detto formale, non è però sembrato sufficiente al
Costituente che ha voluto invece chiamare in causa la “pari dignità sociale”, integrando
così l’esigenza dell’uguaglianza “formale”, avente a contenuto la parità di trattamento
davanti alla legge, con l’uguaglianza “sostanziale”, che conferisce a ciascuno il diritto al
rispetto inerente alla qualità e alla dignità di uomo o di donna, in altri termini di
“persona” che può assumere la pretesa di essere messo nelle condizioni idonee ad
esplicare le proprie attitudini personali, quali esse siano.

Il secondo comma del citato art. 3 recita: «E’ compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del paese». Il Costituente, insomma, ha riconosciuto che non è sufficiente
stabilire il principio dell’eguaglianza giuridica dei cittadini, quando esistono ostacoli di
ordine economico e sociale che limitano di fatto la loro eguaglianza impedendo che essa
sia effettiva, ed ha pertanto, coerentemente, assegnato alla Repubblica il compito di
rimuovere siffatti ostacoli, affinché tutti i cittadini siano posti sullo stesso punto di
partenza, abbiano le medesime opportunità, possano godere, tutti alla pari, dei medesimi
diritti loro formalmente riconosciuti dalla Costituzione.

I principi costituzionali indicati garantirono, in prima battuta, il diritto allo studio
degli alunni con disabilità attraverso l’esperienza delle scuole speciali e delle classi
differenziali. L’art. 38 Cost. specifica infatti che «gli inabili e i minorati hanno diritto
all’educazione e all’avviamento professionale». Ben presto, comunque, emersero le
implicazioni che scaturivano da tale interpretazione del diritto allo studio, soprattutto in
termini di alienazione ed emarginazione sociale.

1.2 Legge 118/71 e Legge 517/77
La legge 118/71, art. 28, disponeva che l’istruzione dell’obbligo dovesse avvenire
nelle classi normali della scuola pubblica. In questo senso, la legge in questione supera
il modello dello scuole speciali, che tuttavia non aboliva, prescrivendo l’inserimento
degli alunni con disabilità, comunque su iniziativa della famiglia, nelle classi comuni.
Per favorire tale inserimento disponeva inoltre che agli alunni con disabilità venissero
assicurati il trasporto, l’accesso agli edifici scolastici mediante il superamento delle
barriere architettoniche, l’assistenza durante gli orari scolastici degli alunni più gravi.

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Ma fu presto evidente che l’inserimento costituiva solo una parziale applicazione
del principio costituzionale di eguaglianza, che era esercitato dagli alunni in questione
solo nel suo aspetto formale. L’inserimento non costituì la realizzazione
dell’eguaglianza sostanziale che dovette invece essere costruita con ulteriori strumenti e
iniziative della Repubblica, orientati a rimuovere gli ostacoli prodotti dal deficit e, in
particolare, attraverso l’istituzione dell’insegnante specializzato per il sostegno e di
piani educativi adeguati alla crescita e allo sviluppo dell’alunno con disabilità.

E’ questo essenzialmente il contenuto della Legge 517/77, che a differenza della

L. 118/71, limitata all’affermazione del principio dell’inserimento, stabilisce con
chiarezza presupposti e condizioni, strumenti e finalità per l’integrazione scolastica
degli alunni con disabilità, da attuarsi mediante la presa in carico del progetto di
integrazione da parte dell’intero Consiglio di Classe e attraverso l’introduzione
dell’insegnante specializzato per le attività di sostegno.
La Corte Costituzionale, a partire dalla Sentenza n. 215/87, ha costantemente
dichiarato il diritto pieno e incondizionato di tutti gli alunni con disabilità, qualunque ne
sia la minorazione o il grado di complessità della stessa, alla frequenza nelle scuole di
ogni ordine e grado. Tale sentenza, oggetto della C M n. 262/88, può considerarsi la
“magna Charta” dell’integrazione scolastica ed ha orientato tutta la successiva
normativa primaria e secondaria.

1.3 Legge 104/92
Una notevole quantità di interventi legislativi di diverso grado è dunque seguita
alla promulgazione della Legge 517/77, al fine di completare la normazione della
materia in questione, tanto per il versante socio-sanitario quanto per quello più
specificamente rivolto all’integrazione scolastica. La Legge del 5 febbraio 1992, n. 104
“Legge Quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate” raccoglie ed integra tali interventi legislativi divenendo il punto di
riferimento normativo dell’integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità.

La Legge in parola ribadisce ed amplia il principio dell’integrazione sociale e
scolastica come momento fondamentale per la tutela della dignità umana della persona
con disabilità, impegnando lo Stato a rimuovere le condizioni invalidanti che ne
impediscono lo sviluppo, sia sul piano della partecipazione sociale sia su quello dei
deficit sensoriali e psico-motori per i quali prevede interventi riabilitativi.

Il diritto soggettivo al pieno sviluppo del potenziale umano della persona con
disabilità non può dunque essere limitato da ostacoli o impedimenti che possono essere
rimossi per iniziativa dello Stato (Legislatore, Pubblici poteri, Amministrazione).

Questo principio, caratterizzante la Legge in questione, si applica anche
all’integrazione scolastica, per la quale la Legge citata prevede una particolare
attenzione, un atteggiamento di “cura educativa” nei confronti degli alunni con
disabilità che si esplica in un percorso formativo individualizzato, al quale partecipano,
nella condivisione e nell’individuazione di tale percorso, più soggetti istituzionali,
scardinando l’impianto tradizionale della scuola ed inserendosi nel proficuo filone
dell’individualizzazione e dell’attenzione all’apprendimento piuttosto che
all’insegnamento.

Il Profilo Dinamico Funzionale e il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.)
sono dunque per la Legge in questione i momenti concreti in cui si esercita il diritto
all’istruzione e all’educazione dell’alunno con disabilità. Da ciò il rilievo che ha la
realizzazione di tali documenti, attraverso il coinvolgimento dell’amministrazione

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scolastica, degli organi pubblici che hanno le finalità della cura della persona e della
gestione dei servizi sociali ed anche delle famiglie. Da ciò, inolter, l’importante
previsione della loro verifica in itinere, affinché risultino sempre adeguati ai bisogni
effettivi dell’alunno.

Sulla base del PEI, i professionisti delle singole agenzie, ASL, Enti Locali e le
Istituzioni scolastiche formulano, ciascuna per proprio conto, i rispettivi progetti
personalizzati:

.
il progetto riabilitativo, a cura dell’ASL (L. n. 833/78 art 26);

.
il progetto di socializzazione, a cura degli Enti Locali (L. n. 328/00 art 14);

.
il Piano degli studi personalizzato, a cura della scuola (D.M.. 141/99, come

modificato dall’art. 5, comma 2, del D.P.R. n. 81/09).

1.4 DPR 24 febbraio 1994
Il DPR 24 febbraio 1994 “Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti
delle unità sanitarie locali in materia di alcuni portatori di handicap” individua i soggetti
e le competenze degli Enti Locali, delle attuali Aziende Sanitarie Locali e delle
istituzioni scolastiche nella definizione della Diagnosi Funzionale, del Profilo Dinamico
Funzionale e del Piano Educativo Individualizzato, documento conclusivo e operativo
in cui “vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per
l’alunno in condizione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della
realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione”, come integrato e modificato dal
DPCM n. 185/06.

Successivamente, sia il Regolamento sull’Autonomia scolastica, D.P.R. n.
275/99, sia la Legge di riforma n. 53/03 fanno espresso riferimento all’integrazione
scolastica. Inoltre, la L. n. 296/06, all’art 1 comma 605 lettera “b”, garantisce il rispetto
delle “effettive esigenze” degli alunni con disabilità, sulla base di accordi
interistituzionali.

2. Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità
Con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009, il Parlamento italiano ha ratificato la
Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità. Tale ratifica vincola l’Italia,
qualora l’ordinamento interno avesse livelli di tutela dei diritti delle persone con
disabilità inferiori a quelli indicati dalla Convenzione medesima, a emanare norme
ispirate ai principi ivi espressi.

Non è comunque la prima volta che il tema della disabilità è oggetto di attenzione
di documenti internazionali volti alla tutela dei diritti umani, sociali e civili degli
individui.

La Dichiarazione dei Diritti del Bambino dell’ONU, varata nel 1959, recita: “Il
bambino che si trova in una situazione di minorazione fisica, mentale o sociale, ha
diritto di ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali di cui abbisogna per il
suo stato o la sua condizione”.

La Dichiarazione dei diritti della persona con ritardo mentale dell’ONU,
pubblicata nel 1971, reca scritto: “Il subnormale mentale deve, nella maggiore misura
possibile, beneficiare dei diritti fondamentali dell’uomo alla stregua degli altri esseri
umani. Il subnormale mentale ha diritto alle cure mediche e alle terapie più appropriate
al suo stato, nonché all’educazione, all’istruzione, alla formazione, alla riabilitazione,
alla consulenza che lo aiuteranno a sviluppare al massimo le sue capacità e attitudini”.

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La Conferenza Mondiale sui diritti umani dell’ONU, i cui esiti sono resi noti nel
1993, precisa che “tutti i diritti umani e le libertà fondamentali sono universali e
includono senza riserve le persone disabili”.

Le Regole standard per il raggiungimento delle pari opportunità per i disabili,
adottate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 20 dicembre 1993, ricordano
come “l'ignoranza, la negligenza, la superstizione e la paura sono fattori sociali che
attraverso tutta la storia della disabilità hanno isolato le persone con disabilità e ritardato
la loro evoluzione”.

Ciò che tuttavia caratterizza la Convenzione ONU in questione è di aver
decisamente superato un approccio focalizzato solamente sul deficit della persona con
disabilità, accogliendo il “modello sociale della disabilità” e introducendo i principi di
non discriminazione, parità di opportunità, autonomia, indipendenza con l'obiettivo di
conseguire la piena inclusione sociale, mediante il coinvolgimento delle stesse persone
con disabilità e delle loro famiglie.

Essa infatti recepisce una concezione della disabilità che, oltre a ribadire il
principio della dignità delle persone con disabilità, individua nel contesto culturale e
sociale un fattore determinante l’esperienza che il soggetto medesimo fa della propria
condizione di salute. Il contesto è una risorsa potenziale che, qualora sia ricca di
opportunità, consente di raggiungere livelli di realizzazione e autonomia delle persone
con disabilità che, in condizioni contestuali meno favorite, sono invece difficilmente
raggiungibili.

La definizione di disabilità della Convenzione è basata sul modello sociale
centrato sui diritti umani delle persone con disabilità, ed è la seguente: “la disabilità è il
risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed
ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su
base di uguaglianza con gli altri” (Preambolo, punto e).

La centralità del contesto socio-culturale nella determinazione del livello di
disabilità impone che le persone con disabilità non siano discriminate, intendendo
“discriminazione fondata sulla disabilità (...) qualsivoglia distinzione, esclusione o
restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o
annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli
altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico,
sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di
discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole (Art. 2).

A questo scopo è necessario che il contesto (ambienti, procedure, strumenti
educativi ed ausili) si adatti ai bisogni specifici delle persone con disabilità, attraverso
ciò che la Convenzione in parola definisce “accomodamento ragionevole”:
“Accomodamento ragionevole indica le modifiche e gli adattamenti necessari ed
appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia
necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e
l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà
fondamentali” (Art. 2).

L'art 24, infine, dedicato all'educazione riconosce “il diritto all’istruzione delle
persone con disabilità (...) senza discriminazioni e su base di pari opportunità”
garantendo “un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli ed un apprendimento
continuo lungo tutto l’arco della vita, finalizzati: (a) al pieno sviluppo del potenziale
umano, del senso di dignità e dell’autostima ed al rafforzamento del rispetto dei diritti
umani, delle libertà fondamentali e della diversità umana; (b) allo sviluppo, da parte

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delle persone con disabilità, della propria personalità, dei talenti e della creatività, come
pure delle proprie abilità fisiche e mentali, sino alle loro massime potenzialità; (c) a
porre le persone con disabilità in condizione di partecipare effettivamente a una società
libera”.

3. ICF, Classificazione Internazionale del Funzionamento. Dalla prospettiva
sanitaria alla prospettiva bio-psico-sociale
Nel 2001, l’Assemblea Mondiale della Sanità dell’OMS ha approvato la nuova
Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute
(International Classification of Functioning, Disability and Health – ICF),
raccomandandone l’uso negli Stati parti. L’ICF recepisce pienamente il modello sociale
della disabilità, considerando la persona non soltanto dal punto di vista “sanitario”, ma
promuovendone un approccio globale, attento alle potenzialità complessive, alle varie
risorse del soggetto, tenendo ben presente che il contesto, personale, naturale, sociale e
culturale, incide decisamente nella possibilità che tali risorse hanno di esprimersi.
Fondamentale, dunque, la capacità di tale classificatore di descrivere tanto le capacità
possedute quanto le performance possibili intervenendo sui fattori contestuali.

Nella prospettiva dell’ICF, la partecipazione alle attività sociali di una persona
con disabilità è determinata dall’interazione della sua condizione di salute (a livello di
strutture e di funzioni corporee) con le condizioni ambientali, culturali, sociali e
personali (definite fattori contestuali) in cui essa vive. Il modello introdotto dall’ICF,
bio-psico-sociale, prende dunque in considerazione i molteplici aspetti della persona,
correlando la condizione di salute e il suo contesto, pervenendo così ad una definizione
di “disabilità” come ad “una condizione di salute in un ambiente sfavorevole”.

Nel modello citato assume valore prioritario il contesto, i cui molteplici elementi
possono essere qualificati come “barriera”, qualora ostacolino l’attività e la
partecipazione della persona, o “facilitatori”, nel caso in cui, invece, favoriscano tali
attività e partecipazione.

L’ICF sta penetrando nelle pratiche di diagnosi condotte dalle AA.SS.LL., che
sulla base di esso elaborano la Diagnosi Funzionale. E’ dunque opportuno che il
personale scolastico coinvolto nel processo di integrazione sia a conoscenza del modello
in questione e che si diffonda sempre più un approccio culturale all’integrazione che
tenga conto del nuovo orientamento volto a considerare la disabilità interconnessa ai
fattori contestuali.

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II PARTE: L’ORGANIZZAZIONE

1. Il ruolo degli Uffici Scolastici Regionali
Il decentramento avvenuto nell’ultimo decennio e la conseguente assunzione di

responsabilità da parte degli organi decentrati - nell’ambito delle materie ad essi

attribuite - fa assumere agli Uffici Scolastici Regionali un ruolo strategico ai fini della

pianificazione/programmazione/”governo” delle risorse e delle azioni a favore

dell’inclusione scolastica degli alunni disabili.
L’azione di coordinamento ed indirizzo di loro competenza fa prevedere che:
.
attivino ogni possibile iniziativa finalizzata alla stipula di Accordi di
programma regionali per il coordinamento, l’ ottimizzazione e l’uso delle
risorse, riconducendo le iniziative regionali ad un quadro unitario
compatibile con i programmi nazionali d’istruzione e formazione e con
quelli socio - sanitari;
.
promuovano la costituzione di G.L.I.R. (Gruppo di Lavoro
Interistituzionale Regionale), al quale demandare la realizzazione
dell’obiettivo sopra individuato. Fermo restando l’attuale ruolo
istituzionale dei G.L.I.P., appare opportuno che quest’ultimi, nella
prospettiva della costituzione dei citati G.L.I.R., vengano intesi come
organismi attuativi, in sede provinciale, delle linee di indirizzo e
coordinamento stabilite a livello regionale;
.
organizzino attività di formazione per dirigenti scolastici e personale della
scuola (ivi compreso il personale ATA) al fine di implementare e
diffondere la cultura dell’inclusione e della “presa in carico” complessiva
dell’alunno disabile da parte del sistema scuola;
.
favoriscano la costituzione di reti territoriali per la realizzazione sia delle
attività formative sia di ogni altra azione a favore dell’inclusione, al fine di
renderla più rispondente alle realtà di contesto e alle esperienze di vita dei
soggetti. La “rete” di scuole, inserita all’interno dei tavoli di
concertazione/coordinamento territoriali, appare essere lo strumento
operativo più funzionale per la realizzazione di interventi mirati, aderenti
al contesto, compatibili con le opportunità e le risorse effettivamente
disponibili. Le “reti” consentono l’incremento di azioni volte a favorire la
piena valorizzazione delle persone, la crescita e lo sviluppo educativo,
cognitivo e sociale del singolo discente mediante percorsi individualizzati
interconnessi con la realtà sociale del territorio, nella prospettiva di creare
legami forti e senso di appartenenza;
.
potenzino il ruolo e il funzionamento dei Centri di Supporto Territoriale
istituiti dal Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”, nonché quello dei
Centri di Documentazione /Consulenza/Ascolto in quanto luoghi
“dedicati” per realizzare e far circolare esperienze, disporre di consulenze
esperte, costituire effettive comunità di pratiche.

2. Rapporti interistituzionali
Nella logica del decentramento e del compimento del processo attuativo del titolo

V della Costituzione, il concetto di Governance è il paradigma di riferimento per i

rapporti interistituzionali, in quanto inteso come la capacità delle istituzioni di

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coordinare e orientare l’azione dei diversi attori del sistema sociale e formativo
valorizzando le attività di regolazione e orientamento.

 Il termine Governance è sempre più utilizzato come categoria- guida nell'ambito
delle politiche pubbliche, per sottolineare la prevalenza di logiche di tipo negoziale e
relazionale, coordinative, piuttosto di quelle di vero e proprio Government basate
esclusivamente sulla normazione e sulla programmazione. Si tratta, quindi, di stabilire
azioni di raccordo fra gli enti territoriali (Regione, USR, province, comuni), i servizi
(ASL, cooperative, comunità), le istituzioni scolastiche, per la ricognizione delle
esigenze e lo sviluppo della relativa offerta sul territorio.

Lo strumento operativo più adeguato a tal fine sembra essere quello rappresentato
dai Tavoli di concertazione costituiti in ambiti territoriali che coincidano possibilmente
con i Piani di Zona.

Si delinea, in tal modo, un sistema di co-decisioni e “cooperazioni
interistituzionali” che realizza un policentrismo decisionale declinato, di volta in volta,
secondo l’oggetto della decisione da assumere in cooperazione o collaborazione,
accordi o intese, coordinamento .

Gli ambiti territoriali diventano il luogo privilegiato per realizzare il sistema
integrato di interventi e servizi e lo snodo di tutte le azioni, tramite la costituzione di
tavoli di concertazione/ coordinamento – all’interno dei quali c’è la “rete” di scuole-
composti dai rappresentanti designati da ciascun soggetto ((istituzionale o meno) che
concorre all’attuazione del progetto di vita costruito per ciascun alunno disabile.

E’, infatti, proprio nella definizione del progetto di vita che si realizza l’effettiva
integrazione delle risorse, delle competenze e delle esperienze funzionali all’inclusione
scolastica e sociale.

I prioritari ambiti di intervento sono riconducibili a:

1.
formazione (poli specializzati sulle diverse tematiche connesse a specifiche
disabilità /banche dati/anagrafe professionale/consulenze esperte);
2.
distribuzione/allocazione/dotazione risorse professionali (insegnanti
specializzati, assistenti ad personam, operatori, educatori, ecc.);
3.
distribuzione/ottimizzazione delle risorse economiche e strumentali (fondi
finalizzati all’integrazione scolastica, sussidi e attrezzature, tecnologie, ecc.);
4.
adozione di iniziative per l’accompagnamento dell’alunno alla vita adulta
mediante esperienze di alternanza scuola-lavoro, stage, collaborazione con le
aziende del territorio.
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III PARTE
LA DIMENSIONE INCLUSIVA DELLA SCUOLA


Con l’autonomia funzionale di cui alla Legge 59/1997, le istituzioni scolastiche
hanno acquisito la personalità giuridica e dunque è stato loro attribuito, nei limiti
stabiliti dalla norma, il potere discrezionale tipico delle Pubbliche Amministrazioni. Ne
consegue che la discrezionalità in parola, relativa alle componenti scolastiche
limitatamente alle competenze loro attribuite dalle norme vigenti, ed in particolare
nell’ambito dell’autonomia organizzativa e didattica, dovrà essere esercitata tenendo
debitamente conto dei principi inerenti le previsioni di legge concernenti gli alunni con
disabilità. La citata discrezionalità dovrà altresì tenere conto del principio di logicità-
congruità, il cui giudizio andrà effettuato in considerazione dell’interesse primario da
conseguire, ma naturalmente anche degli interessi secondari e delle situazioni di fatto.

Si ribadisce, inoltre, che le pratiche scolastiche in attuazione dell’integrazione
degli alunni con disabilità, pur nella considerazione dei citati interessi secondari e delle
citate situazioni di fatto, nel caso in cui non si conformassero immotivatamente
all’interesse primario del diritto allo studio degli alunni in questione, potrebbero essere
considerati atti caratterizzati da disparità di trattamento.

Tale violazione è inquadrabile in primo luogo nella mancata partecipazione di
tutte le componenti scolastiche al processo di integrazione, il cui obiettivo fondamentale
è lo sviluppo delle competenze dell’alunno negli apprendimenti, nella comunicazione e
nella relazione, nonché nella socializzazione, obiettivi raggiungibili attraverso la
collaborazione e il coordinamento di tutte le componenti in questione nonché dalla
presenza di una pianificazione puntuale e logica degli interventi educativi, formativi,
riabilitativi come previsto dal P.E.I.

In assenza di tale collaborazione e coordinamento, mancanza che si esplica in
ordine ad atti determinati da una concezione distorta dell’integrazione, verrebbe a
mancare il menzionato corretto esercizio della discrezionalità.

1. Il ruolo del dirigente scolastico
Le seguenti indicazioni non intendono ripetere gli adempimenti previsti per il
Dirigente scolastico nel processo di integrazione, tra l'altro già presenti in molti
documenti che definiscono Accordi di programma o in Linee Guida per l'integrazione
degli alunni con disabilità realizzate da Uffici Scolastici Regionali o Provinciali. Si
intende invece dare delle direttive generali sulla base delle quali assicurare, pur in
presenza di situazioni territoriali diverse e complesse, l’effettività del diritto allo studio
degli alunni con disabilità, mediante risposte adeguate ai loro bisogni educativi speciali.

1.1. Leadership educativa e cultura dell’integrazione
Il Dirigente scolastico è il garante dell’offerta formativa che viene progettata ed
attuata dall’istituzione scolastica: ciò riguarda la globalità dei soggetti e, dunque, anche
gli alunni con disabilità.

Il Piano dell’Offerta Formativa (POF) è inclusivo quando prevede nella
quotidianità delle azioni da compiere, degli interventi da adottare e dei progetti da
realizzare la possibilità di dare risposte precise ad esigenze educative individuali; in tal
senso, la presenza di alunni disabili non è un incidente di percorso, un‘emergenza da
presidiare, ma un evento che richiede una riorganizzazione del sistema già individuata
in via previsionale e che rappresenta un’occasione di crescita per tutti.

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 L’integrazione/inclusione scolastica è, dunque, un valore fondativo, un assunto
culturale che richiede una vigorosa leadership gestionale e relazionale da parte del
Dirigente Scolastico, figura-chiave per la costruzione di tale sistema. La leadership
dirigenziale si concretizza anche mediante la promozione e la cura di una serie di
iniziative da attuarsi di concerto con le varie componenti scolastiche atte a dimostrare
l’effettivo impegno del Dirigente e dell'istituzione scolastica in tali tematiche (come per
esempio corsi di formazione, programmi di miglioramento del servizio scolastico per gli
alunni con disabilità, progetti, iniziative per il coinvolgimento dei genitori e del
territorio, costituzioni di reti di scuole per obiettivi concernenti l’inclusione,
partecipazione agli incontri di GLHO, istituzione del GLH di Istituto, favorire la
continuità educativo-didattica, programmi di miglioramento del servizio scolastico per
gli alunni con disabilità, partecipazione alla stipula di Accordi di programma a livello
dei piani di zona, di cui all’art 19 L.n. 328/00, direttamente o tramite reti di scuole,
ecc.).

L'autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche ha ridotto il peso delle
indicazioni normative ed istituzionali, favorendo una maggiore discrezionalità
nell'elaborazione della progettazione educativa rivolta al successo formativo di tutti gli
alunni. Tale dimensione richiede però un buon livello organizzativo, inteso come
definizione di una serie di “punti fermi”, definiti sulla base di principi garantiti per
legge, entro i quali sviluppare la progettualità aperta della scuola autonoma.

Il contributo del Collegio dei docenti e del Consiglio di istituto deve assicurare
l'elaborazione del Piano dell'Offerta Formativa che descrive, fra l'altro, le decisioni
assunte in ordine all'integrazione scolastica. Il Dirigente ha il compito di rendere
operative tali indicazioni, che ha condiviso con gli Organi collegiali, con proprie azioni,
finalizzate all'attuazione del Piano in questione. Resta fermo il ruolo del Dirigente come
stimolo, promotore di iniziative e di attività educative, anche alla luce della
responsabilità dirigenziale in ordine ai risultati del servizio di istruzione.

Per la realizzazione operativa delle attività concernenti l'integrazione scolastica, il
Dirigente Scolastico può individuare una figura professionale di riferimento (figura
strumentale), per le iniziative di organizzazione e di cura della documentazione, delle
quali tale figura è responsabile e garante.
In via generale, dunque, al Dirigente scolastico è richiesto di:

.
promuovere e incentivare attività diffuse di aggiornamento e di formazione
del personale operante a scuola (docenti, collaboratori, assistenti) anche
tramite corsi di aggiornamento congiunti di cui all’art 14 comma 7 L.n.
104/92, al fine di sensibilizzare, informare e garantire a tutte le
componenti il conseguimento di competenze e indispensabili “strumenti”
operativo-concettuali (per intervenire sul contesto e modificarlo);

.
valorizzare progetti che attivino strategie orientate a potenziare il processo
di inclusione;

.
guidare e coordinare le azioni/iniziative/attività connesse con le procedure
previste dalle norme di riferimento: presidenza del GLH d’istituto,
formazione delle classi, utilizzazione degli insegnanti per le attività di
sostegno;

.
indirizzare l’operato dei singoli Consigli di classe/interclasse affinché
promuovano e sviluppino le occasioni di apprendimento, favoriscano la
partecipazione alle attività scolastiche, collaborino alla stesura del P.E.I.;

13



.
coinvolgere attivamente le famiglie e garantire la loro partecipazione

durante l’elaborazione del PEI;

.
curare il raccordo con le diverse realtà territoriali (EE.LL., enti di

formazione, cooperative, scuole, servizi socio-sanitari, ecc.);

.
attivare specifiche azioni di orientamento per assicurare continuità nella

presa in carico del soggetto da parte della scuola successiva o del percorso

post-scolastico prescelto;

.
intraprendere le iniziative necessarie per individuare e rimuovere eventuali

barriere architettoniche e/o senso-percettive.

1.2 La programmazione
Al fine dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è indispensabile
ricordare che l’obiettivo fondamentale della Legge 104/92, art. 12, c. 3, è lo sviluppo
degli apprendimenti mediante la comunicazione, la socializzazione e la relazione
interpersonale. A questo riguardo, infatti, la Legge in questione recita: “L’integrazione
scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata
nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione”; il c. 4
stabilisce inoltre che “l'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere
impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità
connesse all'handicap”. La progettazione educativa per gli alunni con disabilità deve,
dunque, essere costruita tenendo ben presente questa priorità.

Qualora, per specifiche condizioni di salute dell’alunno (di cui deve essere edotto
il Dirigente Scolastico) o per particolari situazioni di contesto, non fosse realmente
possibile la frequenza scolastica per tutto l’orario, è necessario che sia programmato un
intervento educativo e didattico rispettoso delle peculiari esigenze dell’alunno e,
contemporaneamente, finalizzato al miglioramento delle abilità sociali, al loro
potenziamento e allo sviluppo degli apprendimenti anche nei periodi in cui non è
prevista la presenza in classe.

Sulla base di tale assunto, è contraria alle disposizioni della Legge 104/92, la
costituzione di laboratori che accolgano più alunni con disabilità per quote orarie anche
minime e per prolungati e reiterati periodi dell’anno scolastico.

E' vero, comunque, che talvolta si tende a considerare esaurito il ruolo formativo
della scuola nella socializzazione. Una considerazione corretta di questo concetto,
tuttavia, porta ad interpretare la socializzazione come uno strumento di crescita da
integrare attraverso il miglioramento degli apprendimenti con buone pratiche didattiche
individualizzate e di gruppo. Riemerge qui la centralità della progettazione educativa
individualizzata che sulla base del caso concreto e delle sue esigenze dovrà individuare
interventi equilibrati fra apprendimento e socializzazione, preferendo in linea di
principio che l'apprendimento avvenga nell'ambito della classe e nel contesto del
programma in essa attuato.

Una progettazione educativa che scaturisca dal principio del diritto allo studio e
allo sviluppo, nella logica anche della costruzione di un progetto di vita che consente
all'alunno di “avere un futuro”, non può che definirsi all'interno dei Gruppi di lavoro
deputati a tale fine per legge. L'istituzione di tali Gruppi in ogni istituzione scolastica è
obbligatoria, non dipendendo dalla discrezionalità dell'autonomia funzionale. Per tale
motivo il Dirigente Scolastico ha l'onere di intraprendere ogni iniziativa necessaria
affinché i Gruppi in questione vengano istituiti, individuando anche orari compatibili
per la presenza di tutte le componenti chiamate a parteciparvi.

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Si è integrati/inclusi in un contesto, infatti, quando si effettuano esperienze e si
attivano apprendimenti insieme agli altri, quando si condividono obiettivi e strategie di
lavoro e non quando si vive, si lavora, si siede gli uni accanto agli altri. E tale
integrazione, nella misura in cui sia sostanziale e non formale, non può essere lasciata al
caso, o all'iniziativa degli insegnanti per le attività di sostegno, che operano come organi
separati dal contesto complessivo della classe e della comunità educante. È necessario
invece procedere secondo disposizioni che coinvolgano tutto il personale docente,
curricolare e per le attività di sostegno, così come indicato nella nota ministeriale prot.

n. 4798 del 25 luglio 2005, di cui si ribadisce la necessità di concreta e piena attuazione.
Per non disattendere mai gli obiettivi dell’apprendimento e della condivisione, è
indispensabile che la programmazione delle attività sia realizzata da tutti i docenti
curricolari, i quali, insieme all’insegnante per le attività di sostegno e definiscono gli
obiettivi di apprendimento per gli alunni con disabilità in correlazione con quelli
previsti per l’intera classe.

Date le finalità della programmazione comune fra docenti curricolari e per le
attività di sostegno per la definizione del Piano educativo dell'alunno con disabilità,
finalità che vedono nella programmazione comune una garanzia di tutela del diritto allo
studio, è opportuno ricordare che la cooperazione e la corresponsabilità del team docenti
sono essenziali per le finalità previste dalla legge. A tal riguardo, è compito del
Dirigente Scolastico e degli Organi collegiali competenti attivare, nell'ambito della
programmazione integrata, le necessarie iniziative per rendere effettiva la cooperazione
e la corresponsabilità di cui sopra, attraverso il loro inserimento nel P.O.F.

La documentazione relativa alla programmazione in parola deve essere resa
disponibile alle famiglie, al fine di consentire loro la conoscenza del percorso educativo
concordato e formativo pianificato.

A questo riguardo è importante sottolineare l'importanza, in particolare nel
momento del passaggio fra un grado e l’altro d’istruzione, del fascicolo individuale
dell'alunno con disabilità, che dovrà essere previsto a partire dalla Scuola dell’Infanzia e
comunque all’inizio del percorso di scolarizzazione, al fine di documentare il percorso
formativo compiuto nell'iter scolastico.

Si precisa infine che dal punto di vista concettuale e metodologico è opportuno
distinguere fra la programmazione personalizzata che caratterizza il percorso
dell’alunno con disabilità nella scuola dell’obbligo e la programmazione differenziata
che, nel II ciclo di istruzione, può condurre l’alunno al conseguimento dell’attestato di
frequenza.

1.3 La flessibilità
La flessibilità organizzativa e didattica prevista dall'autonomia funzionale delle
istituzioni scolastiche consente di articolare l'attività di insegnamento secondo le più
idonee modalità per il raggiungimento del successo formativo di tutti gli alunni, finalità
ultima dell'intero servizio nazionale di istruzione, fermo restando il rispetto dei principi
inerenti la normativa di legge. Così, per esempio, l'insegnante per le attività di sostegno
non può essere utilizzato per svolgere altro tipo di funzioni se non quelle strettamente
connesse al progetto d'integrazione, qualora tale diverso utilizzo riduca anche in minima
parte l’efficacia di detto progetto.

Le opportunità offerte dalla flessibilità organizzativa per il raggiungimento del
diritto allo studio degli alunni con disabilità sono molteplici.

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Relativamente al passaggio dal primo al secondo ciclo di istruzione o nei
passaggi intermedi, è opportuno che i Dirigenti Scolastici coinvolti prevedano forme di
consultazione obbligatorie fra gli insegnanti della classe frequentata dall’alunno con
disabilità e le figure di riferimento per l'integrazione delle scuole coinvolte, al fine di
consentire continuità operativa e la migliore applicazione delle esperienze già maturate
nella relazione educativo-didattica e nelle prassi di integrazione con l'alunno con
disabilità.

I Dirigenti scolastici impegnati nel passaggio in questione possono inoltre
avviare progetti sperimentali che, sulla base di accordi fra le istituzioni scolastiche e nel
rispetto della normativa vigente anche contrattuale, consentano che il docente del grado
scolastico già frequentato partecipi alle fasi di accoglienza e di inserimento nel grado
successivo.

Particolare importanza ha in tale ambito la consegna della documentazione
riguardante l'alunno con disabilità al personale del ciclo o grado successivo. Tale
documentazione dovrà essere completa e sufficientemente articolata per consentire
all'istituzione scolastica che prende in carico l'alunno di progettare adeguatamente i
propri interventi. Talvolta, semplicemente la carenza documentale può rallentare il
raggiungimento del successo formativo richiesto dalle disposizioni legislative.

È inoltre opportuno valutare attentamente se il principio tutelato
costituzionalmente del diritto allo studio e interpretato dalla Legge 59/97 come diritto al
successo formativo per tutti gli alunni, possa realizzarsi, fermo restando le deroghe
previste dalla normativa vigente, attraverso la permanenza nel sistema di istruzione e
formazione fino all'età adulta (21 anni) o attraverso rallentamenti eccessivi in
determinati gradi scolastici. Il sistema di istruzione, infatti, risponde ai bisogni educativi
e formativi dei giovani cittadini, rendendosi alla fine necessario, anche attraverso la
piena attuazione di norme che garantiscono il diritto al lavoro delle persone con
disabilità, il passaggio della presa in carico ad altri soggetti pubblici.

A questo scopo, per quanto di competenza del sistema nazionale di istruzione è
fondamentale l'organizzazione puntuale del passaggio al mondo del lavoro e
dell'attuazione del progetto di vita.

1.4 Il progetto di vita
Il progetto di vita, parte integrante del P.E.I., riguarda la crescita personale e
sociale dell'alunno con disabilità ed ha quale fine principale la realizzazione in
prospettiva dell'innalzamento della qualità della vita dell'alunno con disabilità, anche
attraverso la predisposizione di percorsi volti sia a sviluppare il senso di autoefficacia e
sentimenti di autostima, sia a predisporre il conseguimento delle competenze necessarie
a vivere in contesti di esperienza comuni.

Il progetto di vita, anche per il fatto che include un intervento che va oltre il
periodo scolastico, aprendo l'orizzonte di “un futuro possibile”, deve essere condiviso
dalla famiglia e dagli altri soggetti coinvolti nel processo di integrazione.

Risulta inoltre necessario predisporre piani educativi che prefigurino, anche
attraverso l'orientamento, le possibili scelte che l'alunno intraprenderà dopo aver
concluso il percorso di formazione scolastica. Il momento “in uscita”, formalizzato “a
monte” al momento dell'iscrizione, dovrà trovare una sua collocazione all'interno del
Piano dell'Offerta Formativa, in particolare mediante l'attuazione dell'alternanza scuola-
lavoro e la partecipazione degli alunni con disabilità nell'ambito del sistema IFTS. Ai
fini dell'individuazione di forme efficaci di relazione con i soggetti coinvolti nonché con

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quelli deputati al servizio per l'impiego e con le associazioni, il Dirigente scolastico
predispone adeguate misure organizzative.

1.5 La costituzione delle reti di scuole
Al fine di una più efficace utilizzazione dei fondi per l'integrazione scolastica, di
una condivisione di risorse umane e strumentali, nei limiti delle disposizioni normative
vigenti anche contrattuali, e per rendere più efficace ed efficiente l'intervento delle
istituzioni scolastiche nel processo di crescita e sviluppo degli alunni con disabilità, il
Dirigente Scolastico promuove la costituzione di reti di scuole, anche per condividere
buone pratiche, promuovere la documentazione, dotare il territorio di un punto di
riferimento per i rapporti con le famiglie e con l'extra-scuola nonché per i momenti di
aggiornamento degli insegnanti.

2. La corresponsabilità educativa e formativa dei docenti
E’ ormai convinzione consolidata che non si dà vita ad una scuola inclusiva se al
suo interno non si avvera una corresponsabilità educativa diffusa e non si possiede una
competenza didattica adeguata ad impostare una fruttuosa relazione educativa anche con
alunni con disabilità.

La progettazione degli interventi da adottare riguarda tutti gli insegnanti perché
l’intera comunità scolastica è chiamata ad organizzare i curricoli in funzione dei diversi
stili o delle diverse attitudini cognitive, a gestire in modo alternativo le attività d’aula, a
favorire e potenziare gli apprendimenti e ad adottare i materiali e le strategie didattiche
in relazione ai bisogni degli alunni. Non in altro modo sarebbe infatti possibile che gli
alunni esercitino il proprio diritto allo studio inteso come successo formativo per tutti,
tanto che la predisposizione di interventi didattici non differenziati evidenzia
immediatamente una disparità di trattamento nel servizio di istruzione verso coloro che
non sono compresi nelle prassi educative e didattiche concretamente realizzate.

Conseguentemente il Collegio dei docenti potrà provvedere ad attuare tutte le
azioni volte a promuovere l’inclusione scolastica e sociale degli alunni con disabilità,
inserendo nel Piano dell'Offerta Formativa la scelta inclusiva dell’Istituzione scolastica
e indicando le prassi didattiche che promuovono effettivamente l’inclusione (gruppi di
livello eterogenei, apprendimento cooperativo, ecc.). I Consigli di classe si
adopereranno pertanto al coordinamento delle attività didattiche, alla preparazione dei
materiali e a quanto può consentire all'alunno con disabilità, sulla base dei suoi bisogni
e delle sue necessità, la piena partecipazione allo svolgimento della vita scolastica nella
sua classe.

Tutto ciò implica lavorare su tre direzioni:

2.1 Il clima della classe
Gli insegnanti devono assumere comportamenti non discriminatori, essere
attenti ai bisogni di ciascuno, accettare le diversità presentate dagli alunni disabili
e valorizzarle come arricchimento per l’intera classe, favorire la strutturazione del
senso di appartenenza, costruire relazioni socio-affettive positive.

2.2 Le strategie didattiche e gli strumenti
La progettualità didattica orientata all’inclusione comporta l’adozione di
strategie e metodologie favorenti, quali l’apprendimento cooperativo, il lavoro di

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gruppo e/o a coppie, il tutoring, l’apprendimento per scoperta, la suddivisione del
tempo in tempi, l’utilizzo di mediatori didattici, di attrezzature e ausili informatici,
di software e sussidi specifici.

Da menzionare la necessità che i docenti predispongano i documenti per lo
studio o per i compiti a casa in formato elettronico, affinché essi possano risultare
facilmente accessibili agli alunni che utilizzano ausili e computer per svolgere le
proprie attività di apprendimento. A questo riguardo risulta utile una diffusa
conoscenza delle nuove tecnologie per l'integrazione scolastica, anche in vista
delle potenzialità aperte dal libro di testo in formato elettronico. E' importante
allora che i docenti curricolari attraverso i numerosi centri dedicati dal Ministero
dell'istruzione e dagli Enti Locali a tali tematiche acquisiscano le conoscenze
necessarie per supportare le attività dell'alunno con disabilità anche in assenza
dell'insegnante di sostegno.

2.3 L’apprendimento-insegnamento
Un sistema inclusivo considera l’alunno protagonista dell’apprendimento
qualunque siano le sue capacità, le sue potenzialità e i suoi limiti. Va favorita,
pertanto, la costruzione attiva della conoscenza, attivando le personali strategie di
approccio al “sapere”, rispettando i ritmi e gli stili di apprendimento e
“assecondando” i meccanismi di autoregolazione. Si suggerisce il ricorso alla
metodologia dell’apprendimento cooperativo.

2.4 La valutazione
La valutazione in decimi va rapportata al P.E.I., che costituisce il punto di
riferimento per le attività educative a favore dell’alunno con disabilità. Si rammenta
inoltre che la valutazione in questione dovrà essere sempre considerata come
valutazione dei processi e non solo come valutazione della performance.

Gli insegnanti assegnati alle attività per il sostegno, assumendo la contitolarità
delle sezioni e delle classi in cui operano e partecipando a pieno titolo alle operazioni di
valutazione periodiche e finali degli alunni della classe con diritto di voto, disporranno
di registri recanti i nomi di tutti gli alunni della classe di cui sono contitolari.

2.5 Il docente assegnato alle attività di sostegno
L'assegnazione dell'insegnante per le attività di sostegno alla classe, così come
previsto dal Testo Unico L. 297/94 rappresenta la “vera” natura del ruolo che egli
svolge nel processo di integrazione. Infatti è l'intera comunità scolastica che deve essere
coinvolta nel processo in questione e non solo una figura professionale specifica a cui
demandare in modo esclusivo il compito dell'integrazione. Il limite maggiore di tale
impostazione risiede nel fatto che nelle ore in cui non è presente il docente per le attività
di sostegno esiste il concreto rischio che per l'alunno con disabilità non vi sia la
necessaria tutela in ordine al diritto allo studio. La logica deve essere invece sistemica,
ovvero quella secondo cui il docente in questione è “assegnato alla classe per le attività
di sostegno”, nel senso che oltre a intervenire sulla base di una preparazione specifica
nelle ore in classe collabora con l'insegnante curricolare e con il Consiglio di Classe
affinché l'iter formativo dell'alunno possa continuare anche in sua assenza.

Questa logica deve informare il lavoro dei gruppi previsti dalle norme e la
programmazione integrata.

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La presenza nella scuola dell'insegnante assegnato alle attività di sostegno si
concreta quindi, nei limiti delle disposizioni di legge e degli accordi contrattuali in
materia, attraverso la sua funzione di coordinamento della rete delle attività previste per
l'effettivo raggiungimento dell'integrazione.

3. Personale ATA e assistenza di base
In merito alle funzioni e al ruolo nel processo di integrazione rappresentato
dall’assistenza di base, si rimanda alla nota del MIUR Prot. n. 339 del 30 novembre
2001, ove si indicavano chiaramente finalità dell’assistenza di base, le competenze delle
istituzioni scolastiche e delle ASL. Si ritiene utile ricordare che la responsabilità di
predisporre le condizioni affinché tutti gli alunni, durante la loro esperienza di vita
scolastica, dispongano di servizi qualitativamente idonei a soddisfare le proprie
esigenze, è di ciascuna scuola, la quale, mediante i propri organi di gestione, deve
adoperarsi attraverso tutti gli strumenti previsti dalla legge e dalla contrattazione,
compresa la formazione specifica degli operatori, per conseguire l'obiettivo della piena
integrazione degli alunni disabili.

Fermo restando che le mansioni in parola rientrano tra le funzioni aggiuntive per
l’attivazione delle quali il Dirigente Scolastico dovrà avviare le procedure previste
dalla contrattazione collettiva, si rammenta che il medesimo, nell'ambito degli autonomi
poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, assicurerà in
ogni caso il diritto all'assistenza, mediante ogni possibile forma di organizzazione del
lavoro (nel rispetto delle relazioni sindacali stabilite dalla contrattazione), utilizzando a
tal fine tutti gli strumenti di gestione delle risorse umane previsti dall'ordinamento.

Si rammenta infine l’art. 47 del CCNL relativo al comporto Scuola per il
quadriennio normativo 2006-2009.

4. La collaborazione con le famiglie
La partecipazione alle famiglie degli alunni con disabilità al processo di
integrazione avviene mediante una serie di adempimenti previsti dalla legge. Infatti ai
sensi dell’art 12 comma 5 della L. n. 104/92, la famiglia ha diritto di partecipare alla
formulazione del Profilo Dinamico Funzionale e del PEI, nonché alle loro verifiche.
Inoltre, una sempre più ampia partecipazione delle famiglie al sistema di istruzione
caratterizza gli orientamenti normativi degli ultimi anni, dall’istituzione del Forum
Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola, previsto dal D.P.R. 567/96, al
rilievo posto dalla Legge di riforma n. 53/2003, Art. 1, alla collaborazione fra scuola e
famiglia.

E’ allora necessario che i rapporti fra istituzione scolastica e famiglia avvengano,
per quanto possibile, nella logica del supporto alle famiglie medesime in relazione alle
attività scolastiche e al processo di sviluppo dell'alunno con disabilità.

La famiglia rappresenta infatti un punto di riferimento essenziale per la corretta
inclusione scolastica dell’alunno con disabilità, sia in quanto fonte di informazioni
preziose sia in quanto luogo in cui avviene la continuità fra educazione formale ed
educazione informale.

Anche per tali motivi, la documentazione relativa all'alunno con disabilità deve
essere sempre disponibile per la famiglia e consegnata dall'istituzione scolastica quando
richiesta. Di particolare importanza è l’attività rivolta ad informare la famiglia sul
percorso educativo che consente all’alunno con disabilità l’acquisizione dell’attestato di
frequenza piuttosto che del diploma di scuola secondaria superiore.

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Per opportune finalità informative, risulta fondamentale il ricorso al fascicolo
personale dell'alunno con disabilità, la cui assenza può incidere negativamente tanto sul
diritto di informazione della famiglia quanto sul più generale processo di integrazione.

Il Dirigente scolastico dovrà convocare le riunioni in cui sono coinvolti anche i
genitori dell'alunno con disabilità, previo opportuno accordo nella definizione
dell'orario.

Il Ministro
Maria Stella Gelmini